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Un giorno di Dicembre a Campiglio
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La tappa di coppa del mondo di sci a Madonna di Campiglio rimanda la memoria all'impresa del 1976.

La coppa del mondo entra in uno dei suoi salotti. Madonna di Campiglio sta infatti allo slalom come Alta Badia e Adelboden stanno al gigante o Kiitzbuhel e Wengen stanno alla discesa. L’equazione tra classicissime è più o meno questa. La Tre3 con i fari accesi in notturna è la risposta italiana allo spettacolo offerto dalla Night Race sulla Planai di Schladming, il Maracanà austriaco dello sci alpino. Come tutti gli sport anche lo sci ha i suoi templi, e una notte sul Canalone Miramonti è come San Siro illuminato dalle luci del derby.  Madonna di Campiglio è un capitolo grande così nel voluminoso libro della storia dello sci alpino. Una saga iniziata cinquantuno anni fa, quando nel 1967 si tenne il primo slalom  di coppa del mondo che vide una tripletta francese: primo Guy Perillat, secondo Luis Jauffret, terzo Leo Lacroix. L’Italia dovette attendere il 1971 per gustarsi il primo successo ad opera di Gustavo Thoeni. Fu l’anticamera all’epopea della valanga azzurra: l’anno seguente  arrivarono i trionfi di Rolando Thoeni, il cugino di Gustavo, e di Piero Gros che completò il tris. Pierino vinse ancora, questa volta in gigante nel 1974, ma nel frattempo sul Circo Bianco si era abbattuto il ciclone Stenmark (l’asso svedese detiene il record di cinque vittorie). Dopo quattro anni di dominio azzurro (1971, 1972, 1973 Thoeni, 1974 Gros, e 1975 ancora Thoeni) l’Italia dovette suo malgrado inchinarsi e cedere lo scettro di cristallo al nuovo astro dello sci mondiale. La sfida era ormai tra i nostri, che in tutti i modi (cambiarono persino tecnica di sciata abbandonando gli spigoli per adeguarsi alla celebre ‘curva rotonda’) cercavano di resistergli, e il nuovo re, il biondino lentigginoso che veniva dal grande nord. 

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Tuttavia, pur dinanzi ad un tramonto inesorabile, il 19 dicembre del 1976 accadde qualcosa d’inatteso. Sul Canalone Miramonti il cielo era bigio e nevischiava. Alla fine della prima manche Piero Gros, conduceva con 60 centesimi su Fausto Radici e 83 su Gustavo Thoeni. Stenmark, in difficoltà era solo ottavo. A quel tempo l’ordine di partenza della seconda manche prevedeva l’inversione e dei primi 15 pettorali. Così nella seconda frazione il primo a scendere fu Fausto Radici, autore di una manche perfetta. Stenmark, tradito dalla smania di rimonta, s’incartò in una tripla e uscì di scena. A quel punto, contro ogni pronostico, la strada verso la vittoria italiana era spianata. Gustavo Thoeni non riuscì a far meglio di Radici, suo amico con cui divideva la camera nelle trasferte di coppa del mondo. Se c’era uno per cui il buon Gustavo avrebbe digerito una sconfitta, era proprio Fausto. Nemmeno Piero Gros riuscì a gestire il margine di vantaggio sul compagno, e gli cedette la vittoria per appena quattro centesimi. Abbonato ai podi, al traguardo Pierino ebbe un gesto di stizza per una vittoria che gli sfuggiva da un po’ nei modi più incredibili (lo slalom sulla Gaslern di Kitzbuhel del 1975 sarebbe rimasto il suo ultimo successo), salvo poi correre ad abbracciare Radici. Che giornata...! Il settimo posto di Franco Bieler e il miglior tempo di manche realizzato da un giovanissimo Paolo De Chiesa completarono il trionfo italiano.

 

Lo sci è un sport individuale ma la Valanga azzurra fu soprattutto una squadra. Il Ct Mario Cotelli ebbe la geniale idea di creare un clima di sana competizione interna al gruppo affinché ciascuno fosse motivato a dare il meglio di sé. Funzionò alla grande.  Per anni lo sci italiano dettò legge e fece scuola. Quello di Madonna di Campiglio fu l’ultimo acuto di un gruppo di ragazzi che scrissero la storia del nostro sci e non solo. Fu la seconda e ultima vittoria di Fausto Radici in coppa del mondo, dopo lo slalom di Garmisch della stagione precedente. L’Italia avrebbe dovuto attendere dieci anni per riassaporare un successo nello slalom di casa, quando nel 1986 a vincere fu Ivano Edalini. Poi vennero il tris di Alberto Tomba (1987,1988,1994) e l’ultimo squillo firmato da Giorgio Rocca nel 2005. 

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Fausto Radici ci ha salutati nel 2002. Ritiratosi dall’agonismo, si era dedicato all’azienda tessile di famiglia. Era un pomeriggio di aprile del 2002 nella casa di campagna in Val Seriana quando alla moglie Elena Matous, ex discesista ampezzana madre dei suoi due figli, disse che sarebbe uscito a fare un giro nel bosco. Non ritornò più. Lo ritrovarono privo di vita in una legnaia. Accanto al corpo c’era la sua Smith & Wesson calibro 38. Aveva appena 49 anni. Uomo mite e ben voluto da tutti, Fasto Radici era un gentiluomo. Sebbene privo di vista da un occhio avesse domato nella nebbia i muri vertiginosi della Tre3, non trovò quello stesso coraggio per resistere al mal di vivere che come una piovra lo aveva imprigionato nei suoi tentacoli. Il suo nome rimarrà per sempre legato allo slalom di Madonna di Campiglio, del quale firmò per noi italiani la pagina più bella. Quel giorno di dicembre del 1976 il cielo era grigio sul Canalone Miramonti: Fausto lo rese azzurro fino all’eternità. Indimenticabile

 

Lorenzo Fabiano

E-mail lorenzo.fabiano@me.com

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