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Sete di sangue e di pesos

REPORTAGE

Photos: Jacopo Di Cera

Text: Francesco Costantino Ciampa

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Viaggio nella violenta cultura dei combattimenti tra galli a Cuba.

Sento odore di alcol, lo sento forte. Chiudo gli occhi e sento solo quello. Silenzio, intorno a me. Un vuoto penumatico che mi tiene sospeso per minuti infiniti. E sento odore di alcol.

 

Silenzio. Silenzio. Silenzio.

 

Apro gli occhi e…BANG! Un girone infernale, urla, bestemmie, banconote sventolate, puzza di fumo, sudore, uomini deformati da canottiere lise, bambini perplessi e galli. Da battaglia. L’alcol rimane ma è più sfumato, una sorta di file nascosto nella memoria olfattiva. L’alcol è il rum. Lo sfregano sulla pelle nuda dei duellanti, strappano le piume sotto la pancia e sulle cosce per non dare appigli all’avversario e cauterizzano la pelle degli animali con il distillato della canna da zucchero. Ogni contendente offre al nemico un petto duro come il cuoio. È un combattimento tra galli, benvenuti a Cuba.

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A Barbacoa ogni fottuta famiglia ha almeno una di queste bestie, la notte non si riesce a dormire dal rumore…un brusio continuo, una preghiera di morte. A Santiago combattono anche se è illegale scommettere. A Santiago scommettono, se ne fregano. Tutti aggrappati alla valla, il recinto. Così come a Varadero, dove urlano e scommettono sull’esito di un lascito spagnolo. Poi è arrivata la rivoluzione castrista e i galli sono tornati a fare i polli, ma nel 1980 il divieto viene abrogato e i polli sono tornati a fare i galli.

 

Io guardo e ascolto, nascosto in questo lembo di pianeta che mischia il caldo di maggio alla puzza di guano.

Urlano, tutti urlano.

Mentre sulla sabbia del gallodromo si uccidono due coppie di occhi vuoti. E feroci. Ogni proprietario conta di mangiare grazie a quegli occhi, punta la sua vita ed esercita un delirio d’onnipotenza che lo solleva dalla miseria della propria esistenza. È un maledetto ossimoro antropologico dove la cura filiale per quelle nere fessure inespressive si accosta alla sete di sangue e di pesos.

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Riti iniziatici santificati da un pezzo di cera che si scalda con un accendino e si modella con le dita per tenere fermo uno sperone d’acciaio sul retro della zampa, il tutto fissato da giri di spago che accomunano i galli ai pugili e ai loro guantoni. Solo che io non vedo volare pugni ma due maschi che si cercano per un appuntamento terminale. Sono senza bargigli e creste perché glieli tagliano, pare siano d’intralcio alla violenza. E qui, di violenza, ne annuso parecchia. Chi scommette non si pone grossi interrogativi etici, chi non scommette aspetta il suo turno con sguardo distratto. In mezzo c’è una danza fatta di attesa e azione: colpi di becco veloci diretti alla testa, piccoli voli destinati alla sottomissione, rostri colorati di sangue.

I galli perdono il verso da favola che conosciamo e sibilano come serpenti, si guardano e si uccidono. Tutto dura poco, la nostra vita sicuro. Ma la loro ancora meno. In cinque minuti si consuma un delitto perfetto: il colpevole ha le sembianze della bestia ma il mandante ha un’anima bestiale. Trattasi di cultura locale, inutile cercare una spiegazione quando sei un semplice osservatore. E tu osservi. E vedi lo sconfitto sull’arena, morto. La sua temperatura corporea crolla, dai quaranta gradi che lo rendevano insensibile al dolore ai gradi zero che lo rendono buono per la griglia.

 

Non sento più l’odore dell’alcol. Non sento più niente. E, intorno, solo urla di gioia.

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