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I cacciatori del movimento

REPORTAGE

Photos Giuseppe Ippolito

Text Mauro Farina

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Jamie Snowden, fondatore ed allenatore del Jamie Snowden Racing, rivela lo sforzo necessario per preparare un cavallo a gareggiare. "Dall'alba fino al tramonto, e oltre. Trecentosessantacinque giorno all'anno. Diventa il tuo stile di vita".

Scenario numero 1.

1878, agli albori della fotografia: il fotografo Eadweard Muybridge raccoglie la sfida lanciata qualche anno prima dal governatore della California Leland Stanford, ovvero confermare o meno l’ipotesi dell’esistenza di un istante in cui, nel galoppo di un cavallo, tutte le zampe sono sollevate da terra. Muybridge riuscì nell’intento immortalando un cavallo in corsa utilizzando 24 fotocamere posizionate parallelamente lungo il percorso, ognuna delle quali azionate da un filo colpito dagli zoccoli del cavallo stesso. La sequenza di scatti generata mostrò come gli zoccoli si sollevassero sì contemporaneamente, ma senza un’estensione completa come ritratto di consuetudine dai pittori dell’epoca. 

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Scenario numero 2.

 

1888: Jules Marey, inventore e fisiologo, si dedica all’analisi del movimento umano e animale.

Dovendo affrontare il problema di realizzare una quantità elevata di immagini nel minor tempo possibile, soprattutto nel caso del volo degli uccelli, progettò e realizzò il fucile fotografico: si trattava di un comune fucile da caccia dotato di una lastra fotografica circolare posta in una minuscola camera oscura. La canna fungeva da vero e proprio obiettivo fotografico. Allo stesso modo approfondì gli studi sul movimento umano grazie alla disponibilità di militari francesi volontari. Marey li fece sfilare lungo un piano, vestiti di un drappo nero con dei pallini bianchi posti a livello delle articolazioni, in una una versione antesignana del moderno motion capture cinematografico. 

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Scenario numero 3.

 

2018: in alcuni dei più rinomati Golf Club degli Stati Uniti i membri godono della facility di farsi riprendere durante il loro movimento di "swing" per poi confrontarlo con con quello di un campione della disciplina per comprendere gli errori e perfezionare il movimento stesso.

Tre sguardi diversi e di epoche molto lontane tra loro ma che, unite insieme, ricostruiscono il caleidoscopoio rappresentato dall’odierna Human Motion Technology. Un percorso di studio del movimento che attraversa più di due secoli per approdare oggi alla biomeccanica dello sport: quella disciplina scientifica dedita allo studio del movimento umano in ambito sportivo che si pone come obiettivo quello di ottimizzare la prestazione motoria e tutti i fattori che la compongono.

Una scienza che fa della tecnologia il perno per il raggiungimento di risultati spendibili e misurabili.

Moltissimi movimenti oramai possono essere descritti e compresi attraverso parametri cinematici e dinamici; l’esempio più studiato e praticato sia in ambito clinico che sportivo è l’analisi del passo. Un sistema di telecamere ad infrarosso e pedane di forza descrive come, ma soprattutto perché, il movimento si svolge in un certo modo piuttosto che in un altro. Tutti questi dati, uniti a segnali bioenergetici, quali l’attività muscolare e l’attività respiratoria, illustrano quanto siamo bravi, efficienti ed addirittura armoniosi nel compiere quel particolare compito motorio. La tecnologia ha permesso di passare da una analisi descrittiva a una analisi oggettiva.

La scienza di trasformare l’enorme quantità di dati raccolti in informazioni per migliorare le prestazioni sportive, ma soprattutto la qualità di vita di persone affette da disturbi motori. Attraverso telecamere ad infrarossi e pedane dinamometriche inserite nel pavimento, è possibile misurare tutti i più importanti parametri spazio-temporali del cammino ma anche calcolare l’angolazione articolare e le forze sviluppate dalle articolazioni come anca, ginocchio e caviglia. Il risultato? Una quantità di dati impressionante che devono poi essere ridotti per ricavarne le possibili applicazioni, ad esempio con il confronto con un database di riferimento al fine di valutare eventuali patologie acute oppure monitorare nel tempo l’efficacia di un programma di riabilitazione.

Lo studio della virata nel nuoto, l’analisi degli appoggi nella corsa, i movimenti di swing nel golf, l’affaticamento muscolare in particolari angoli di lavoro, ma anche le risposte motorie nel ricreare contesti reali, come la rincorsa d’attacco nella pallavolo, la battuta nel tennis o il tiro libero nel basket, sono piccoli esempi di come la scienza si metta a servizio dello sport. In Italia troviamo alcuni dei più avanzati laboratori di biomeccanica dello sport, realtà alle quali si rivolgono sportivi sia professionisti che dilettanti.

Da un progetto interdisciplinare in seno al Politecnico di Milano sorge e4Sport Lab, ambiente che si distingue per una strumentazione d’avanguardia in grado di consentire la rigorosa progettazione di un protocollo d’allenamento personalizzato. Il Laboratorio di Analisi della Postura e del Movimento "Luigi Divieti", anch’esso figlio del Politecnico, è pure dedito all’analisi del movimento, ma allo scopo di fornire dati che permettano di quantificare il grado di limitazione funzionale di un’atleta e di migliorare un’eventuale trattamento riabilitativo.

Decine di anni di esperienza maturata nel mondo del ciclismo professionista grazie al Mapei Team, per citarne un altro, hanno permesso al Centro Ricerche Mapei Sport di diventare un punto di riferimento nell’analisi biomeccanica del gesto atletico dei corridori, in particolare nella ricerca della posizione ottimale in sella per il ciclista. Una domanda sorge, a questo punto: fin dove può spingersi il corpo umano, supportato da scienza e tecnologia?

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Le foto sono di James Cannon

Instagram: @james__cannon

Il testo è di Oliver Cable

Instagram: @olivercable

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