Spot: Airport '98
Cliente: Nike
Regia: John Woo
Agenzia: Wieden + Kennedy
Dop: Charles Wolford
DP: Nicola Pecorini
Editor: Russell Icke
THE FOURTH ISSUE
THE FOURTH ISSUE
Welcome to Zemanlandia
Bill Johnson era uno allergico alle regole, uno matto, uno disposto a rischiare l’osso del collo sulle piste da sci. Vi si lanciava a ritmi di rock ’n’ roll, erano la sua Route 66.
Tutto comincia nel 1946 quando Cestmir Vycpalek, uno dei più forti giocatori cecoslovacchi mai arrivati in Italia, sbarca a Torino per diventare il primo straniero a vestire la maglia della Juventus dal dopoguerra.
È un centrocampista dalle spiccate doti offensive che, dopo una sola stagione in bianconero si trasferisce in Sicilia spostandosi, prima da giocatore e poi da allenatore, tra Palermo, Siracusa, Bagheria e Mazara.
Cestmir non si muove da solo, porta sempre con sé la propria famiglia allargata, fuggita dalla Repubblica Cecoslovacca in seguito alla Primavera di Praga e all’invasione dell’armata rossa.
Corre l’anno 1971 e tra i parenti emigrati a Palermo c’è anche il giovane Zdenek, suo nipote, figlio della sorella.
Zdenek, che di cognome fa Zeman, è un 20enne discreto giocatore di pallamano. Proprio nella pallamano inizia la sua carriera da allenatore ma ben presto decide di dedicarsi al calcio.
La prima panchina su cui siede è quella del Cinisi, ma è nel 1986 che inizia a farsi un nome quando a Licata, con una squadra interamente composta da giovani locali, raggiunge una storica promozione in C1 attraverso un gioco brillante ed offensivo.
Inizia da qui la sua lunga e travagliata carriera, che lo porterà anni dopo ad avere un neologismo sul vocabolario Treccani: "Zemanlandia: s. f. Il sistema di gioco, fantasioso e votato all’attacco, ideato e adottato dall’allenatore di calcio boemo Zdenek Zeman".
La notizia dell’exploit in terra siciliana attraversa lo stretto di Messina e arriva fino a Foggia, dove Zeman viene ingaggiato per la stagione successiva.
La sua esperienza in terra pugliese, così come la successiva a Parma, si concludono con rapidi esoneri.
Nel 1988 il "muto" Zeman arriva a Messina, dove riesce di nuovo ad esprimere il calcio spumeggiante visto a Cinisi, tanto da meritarsi una seconda chance dal presidente Casillo, che lo richiama per allenare il neopromosso Foggia in serie B.
Zeman nell’arco di 5 stagioni raggiunge la serie A e fa tornare entusiasmo ed appeal ad una società che fino a qualche anno prima non aveva nemmeno un centro sportivo dove far allenare la squadra.
Il Boemo dà fiducia ad alcuni giovani promesse che interpretano alla perfezione la sua idea di calcio. Il trio delle meraviglie, Signori – Rambaudi – Baiano, fa volare la squadra che sfiora la qualificazione alla coppa Uefa per ben due volte.
Zemanlandia è una ventata d’aria fresca per la "catenacciara" serie A, ed a divertirsi non è solo pubblico del Pino Zaccheria ma il "Foggia dei miracoli" viene celebrato in tutta Italia.
Il calcio espresso dai pugliesi è il principale argomento di discussione dei giornali e delle trasmissioni sportive, e di pari passo cresce l’attenzione mediatica per il personaggio Zeman.
Il Boemo è l’allenatore che fuma – "non conto le sigarette che fumo ogni giorno, altrimenti mi innervosirei e fumerei di più"-, parla poco e compie sempre le stesse scelte, è quello del modulo 4-3-3 e dei famosi "gradoni" durante gli allenamenti.
Un simbolo dell’antisistema che non gioca mai per lo 0-0, ma che vuol far divertire. Dà così poca importanza alla fase difensiva da dividere gli addetti ai lavori tra fedelissimi al suo credo e feroci detrattori.
Zemanlandia non è più solo il modo di definire lo stile di gioco delle sue squadre, con le fasce laterali che macinano chilometri e gli attaccanti che si trovano ad occhi chiusi, ma diventa anche una filosofia del suo modo di vivere il calcio.
O lo ami o lo odi.
Ma qualcosa a Foggia comincia ad andare storto.
Casillo rimane coinvolto in un processo per associazione mafiosa, i migliori giocatori non resistono alle sirene delle squadre più blasonate così come lo stesso Zeman, che alla fine della stagione ‘93/’94 passa alla Lazio.
A Roma resta per 5 stagioni (3 con la Lazio, 2 sponda giallorossa). Nonostante con entrambe le squadre della Capitale ottenga spettacolari vittorie e buoni piazzamenti, non riesce ad aggiudicarsi alcun titolo e le sue quotazioni come allenatore di grandi squadre iniziano a scemare.
Da qui in avanti il boemo diventerà un globetrotter della panchina, collezionando (Pescara 2011/12 a parte) più delusioni che successi.
Ovunque è andato, la storia è sempre stata la stessa: una squadra di piccolo-medio livello con il morale sottoterra, una piazza smorta e i tifosi che mugugnano. Poi arriva lui, i titoloni dei giornali, i gradoni e lo schema a 3 punte.
Qualche partita esaltante poi il calo, la retrocessione, l’esonero.
Il muto, in grado di risolvere tutto ma non vincere niente.
"Il risultato è casuale. La prestazione no. Purtroppo, nel calcio di oggi, conta solo il risultato e nessuno pensa più a far divertire la gente. Non ha più importanza se il pubblico va allo stadio, o da un’altra parte".
È questo il suo modo di pensare.
Il suo essere anti-sistema lo ha portato ad essere quello che viene chiamato ad aizzare le folle e ravvivare gli animi.
Il fatto è che il calcio nel frattempo si è evoluto ma Zeman no. Giusto o sbagliato che sia lui è sempre rimasto lì con la sua retorica, aggrappato a quell’idea romantica e inalterabile di Zemanlandia.
Alla fine poco importa, il Boemo darà sempre modo di far parlare di sé. Ad ogni conferenza stampa di presentazione ci sarà sempre una sala stampa gremita di giornalisti che si danno di gomito per osservare un tizio con la voce rovinata da anni di sigarette, che guarda nel vuoto e tira fuori due o tre parole forzate.
E lo sai già, che il giorno dopo, siti e giornali apriranno con il solito titolo bomba: "IL PESCARA/FOGGIA/FENERBACHE/CAGLIARI… SOGNA CON ZEMANLANDIA".