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Politica, violenza, business.
La mafia degli ultras argentini
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In queste settimane persino il più distratto uomo della strada ha sentito parlare di Xeneizes e Millonarios, del timor panico che suscitano gli spalti della Bombonera e dell’impetuosa ampiezza del Monumental, lo stadio del River, intitolato ad Antonio Vespucio Liberti, mitico presidente del club. Era quello il posto in cui si sarebbe dovuta assegnare la Copa Libertadores, il 24 novembre, non fosse stato per l’assalto di alcune centinaia di fanatici che, per le vie di Buenos Aires, alla comparsa del pullman del Boca, hanno lanciato pietre e spruzzato spray urticante contro il mezzo. Gli esiti sono noti: tra giocatori feriti e intossicati, la partita di ritorno, dopo il 2-2 dell’andata, è stata rinviata, con la coda polemica che ne è comprensibilmente sorta. Domenica, in campo neutro al Santiago Bernabeu, l’epilogo.

Salvo controindicazioni, perché, arrivati a questo punto, c’è da aspettarsi l’inaspettato.


Lo stupore di molti per quanto accaduto sfuma di fronte alla cronaca di decenni di situazioni analoghe avvenute in Argentina.

Le Barras Bravas, le bande che accorpano gli hinchas più estremisti, utilizzano il calcio quale pretesto per arrivare ad altre finalità. La violenza è lo strumento di cui si servono: la impiegano come minaccia o ricatto, a seconda delle convenienze del momento. La stessa vicenda della finale tra River e Boca avrebbe una connessione ad attività criminali.  Alla vigilia della gara, infatti, le investigazioni sulla barra del River, i cosiddetti Borrachos del Tablón, ha condotto a una perquisizione all’interno del domicilio di Héctor Guillermo “Caverna” Godoy, il leader del gruppo. Nella sua abitazione sono stati trovati 300 biglietti d’ingresso per la partita e 7 milioni di pesos. Norberto Brotto, uno dei funzionari impegnati nelle indagini, ha confermato che l’azione del giorno successivo sarebbe stata organizzata come rappresaglia per l’attacco subito dalle forze dell’ordine e giudiziarie. Anche qui, sbalordirsi è ingenuo, considerando che i giornalisti argentini Gustavo Grabia e Martin Souto non hanno avuto dubbi nel qualificare queste formazioni: “piccoli gruppi mafiosi”, del tutto simili “alle mafie italiane”.

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Se i fatti del 24 novembre hanno posto al centro della lente il caso del River Plate, l’elenco delle tramature illecite che coinvolgono queste sezioni delle tifoserie si estendono pressoché per l’intera nazione. Tutto questo, perché la loro forza, politica prima ancora che paramilitare, è difficilmente governata dalle autorità. Non sono solamente tollerati: sono protetti. Cristina Kirchner, riferisce il quotidiano spagnolo El País , nel periodo in cui ha rivestito l’incarico di presidente dell’Argentina, ha sempre coperto le barras, ottenendo in cambio un servizio di ronda permanente sul territorio e di contrasto alle voci dell’opposizione. Ancora: Hugo Moyano, presidente dell’Independiente de Avellaneda, ha per guardia del corpo uno degli uomini preminenti nella barra della squadra. Moyano è anche il sindacalista argentino più influente: per undici anni, dal 2005 al 2016, è stato il segretario della Confederación General del Trabajo, nonché figura di primo piano del Partido Justicialista, la formazione fondata dal Juan Perón, espressione radicata dei ceti popolari e più umili della popolazione.

Ma le intersecazioni tra politica e tifo violento sono ricorrenti e si esplicano nelle forme più diverse. Tra queste, la gestione dei parcheggi degli stadi. Alla Bombonera, la Doce, l’infuocata barra del Boca, arriva a raccogliere, in uno stadio che può contenere fino a 49mila spettatori, una cifra pari a 30mila pesos. Ossia, 20mila dollari USA, circa 18mila euro. A partita, ovviamente. Nel 2004, per il Superclásico al Monumental, il River concesse ai tifosi del Boca 4500 biglietti. Di questi, la Doce ne rimise in vendita 1500, a prezzi schizzati in alto. Un bagarinaggio proficuo e non contrastato dalle autorità, anzi. Per Rafa Di Zeo, che della Doce è stato il líder, un capo venerato e conosciuto in tutto il mondo, il concetto è semplice: “Il calcio è un affare che dà da vivere a giocatori, dirigenti, procuratori, ai giornalisti, a tutti. E a noi, che contribuiamo allo spettacolo, ne va una parte”. Di Zeo non ha mai fatto mistero di avere nella sua rubrica personale il numero di telefono dei maggiorenti del potere politico argentino. E non c’è dubbio, stanti gli esempi solari che confermano l’esistenza di questi vincoli, che la sua non sia una millanteria.

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Luis Barrionuevo, deputato del Partido Justicialista, è stato presidente del Chacarita Juniors. Nel 1998 finanziò la trasferta dei barristas della squadra in Francia, per seguire il Mondiale. Nel 1987, invece, Juan Carlos Rousselot, che sempre per il Partido Justicialista ricopriva l’incarico di Intendente di Morón, una delle principali città dell’area metropolitana di Buenos Aires, si servì della Barra del club locale per interrompere una riunione consiliare in cui era stato messo in discussione un piano di opere pubbliche che lui stesso aveva presentato. Rousselot ha ricevuto ripetute accuse di corruzione dall’opposizione. Da Di Zeo alla Kirchner, da Moyano a Barrionuevo, da Rousselot al Superclásico, trova conferma l’assunto che il sociologo Pablo Alabarces ha sintetizzato nella sua analisi del fenomeno: “Ai politici serve ricorrere a los bravas per ottenere lavori e legittimità territoriale. È parte dell’accumulazione del potere”. La permuta che ne consegue è l’ampia, e persino totale, libertà che alle Barras viene data per compiere i propri affari, che navigano largamente nell’illegalità. Traffici che, per la loro stessa natura, comportano conflitti e scontri per controllare i profitti che producono. Dal 1922, quando si verificò le prima morte associata al calcio in Argentina, sono 300 le persone che hanno perso la vita per identici motivi. Di questi, 14 prima degli anni ’50, il periodo in cui le Barras Bravas invasero il futebol, occupandone le zone grigie e cominciando a stringere patti indicibili con gli amministratori. E in molti di questi casi le indagini non hanno portato ad alcun riscontro, lasciando i presunti colpevoli impuniti. Ecco perché i fatti del 24 novembre non sono né insoliti, né sorprendenti. Piuttosto, rimane da capire come sia possibile che non sia stato approntato, per l’occasione, un piano di sicurezza adeguato. I precedenti erano già molti e proprio in un Boca-River di Copa Libertadores, valido per gli ottavi di finale, nel 2015, i barristas della squadra xeneizes riuscirono a entrare nel tunnel degli spogliatoi e a servirsi, anche quella volta, di bombolette di spray urticante per colpire i giocatori millonarios. Allora la decisione della CONMEBOL, la federazione sudamericana, fu netta: il Boca fu punito con la sconfitta a tavolino per 3-0, il River Plate passò il turno e poi vinse la Copa. Ora hanno prevalso giudizi (e interessi) diversi e un volo per la Spagna ha pulito le coscienze. Ma anche dall’altra parte del mondo la torbida influenza delle Barras Bravas si farà sentire.
 

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Era il 2007 quando un avvocato argentino specialista in materia, Marcelo Parrilli, sostenne che una quota della somma incassata dal River per la cessione al Real Madrid di Gonzalo Higuain fosse transitata ai Borrachos del Tablón. Tre anni dopo, l’allenatore dell’Independiente, Antonio Mohamed, fece sapere di essersi dimesso per le pressioni subite dai barristas. Il cantautore Joaquín Sabina ha dichiarato che per un suo concerto alla Bombonera la gestione dei parcheggi e della sicurezza dell’appuntamento era stata “appaltata” ai membri della Doce. Com’è facile notare, l’espansione del potere delle Barras è crescente, proprio perché non viene arginato. Per il giornalista Nicolás Balinotti, l’intreccio che è scaturito con la politica, in una stretta che si è autoalimentata, è ineliminabile.

 

Che quel che accade da molto tempo in Argentina abbia delle repliche in Europa è cosa che manca di prove acclarate, ma degli indizi sono saliti in superficie. In Italia, nei mesi scorsi, la trasmissione Report ha curato un’inchiesta sui rapporti tra i vertici della Juventus e settori degli ultras bianconeri, addirittura facendo riferimento a un contatto non filtrato con il presidente del club, Andrea Agnelli. Il programma ha sollevato un polverone, ma nel giro di pochi giorni la vicenda è stata depotenziata. Gli autori di Report hanno assicurato che, sul medesimo argomento, ci saranno ulteriori approfondimenti.

Prima che altre puntate vadano in onda, il Superclásico “maledetto” verrà giocato, la Copa Libertadores avrà un padrone, che poi correrà per il titolo di campione del mondo, dal 12 al 22 dicembre, negli Emirati Arabi. I barristas, in qualsiasi maniera, avranno una ragione per festeggiare.

Matteo Fontana
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